Il chiasso degli Armati e l'“inventore” degli occhiali
L'attuale chiasso degli Armati parte da via del Giglio e non ha sbocco. Nei secoli passati questo vicolo si gettava nell'attuale via de' Cerretani, ai tempi chiamata via al Centauro. L'antica denominazione deriva dalla presenza della statua di Ercole che uccide il centauro, opera del Giambologna attualmente presente nella Loggia dei Lanzi; la statua era collocata all'incrocio con via dei Banchi, sull'angolo denominato canto dei Carnesecchi. Ancora oggi è facile accertare quale fosse l'uscita di questo vicoletto in corrispondenza del numero civico 18 rosso, tra gli hotel delle Tele e quello Martelli.
Come spesso accade il toponimo proviene da una potente famiglia, quella degli Armati appunto, che ebbe numerose proprietà nel quartiere di Santa Maria Novella, nei pressi della parrocchia di Santa Maria Maggiore, chiesa molto antica, della quale si trovano delle menzioni prima dell'anno mille e prima chiesa fiorentina dedicata alla Madonna.
Nella chiesa sono sepolti Brunetto Latini, maestro di Dante Alighieri, ma anche il meno conosciuto Salvino degli Armati, per secoli creduto l'inventore degli occhiali per deduzioni sbagliate, come quella scritta da Emilio Baccioti nella sua Firenze Illustrata:
Davvero che questa invenzione si convenia ai Fiorentini, dacché Dante ebbe a dirci “vecchia fama nel mondo li chiama orbi”. Ma però con questa invenzione hanno i fiorentini, abbondantemente compensato la falsa voce di cecità, la quale, in realtà, non è in alcuni che debolezza di vista, cagionata (secondo che ne avverte il Menagio) dal clima troppo sottile, massimaente in inverno, o fors'anco dai raggi del sole riflessi vivamente sui latrici della città.
Dante nella sua Commedia appella così i fiorentini: Vecchia fama nel mondo li chiama orbi. (Inferno, C. XV, v. 67). Il Poeta non si riferisce alla miopia della vista, ma alla beffa fatta dai pisani a danno dei fiorentini circa le due vecchie colonne in porfido da esse donate ma prima guastate dal fuoco.
I fiorentini forse non erano ciechi, ma ancora nel XIX secolo perseverarono nell'errore di considerare Salvino come l'inventore degli occhiali. È proprio in quel secolo che vollero ricordare il concittadino con una targa murata, scritta dall'eminente storico Pasquale Villari e oggi non più presente, ma ricordata da Francesco Bigazzi:
“AD ONORARE LA MEMORIA DI SALVINO DEGLI ARMATI INVENTORE DEGLI OCCHIALI NEL SECOLO XIII LA FRATELLANZA ARTIGIANA QUI DOVE FURONO LE CASE DEGLI ARMATI POSE QUESTA LAPIDE IL GIORNO V LUGLIO MDCCCLXXXV CELEBRANDO IL SUO XXV ANNIVERSARIO ESSA VOLLE RICORDARE IL NOME DI UN CITTADINO CHE SEPPE COL LAVORO RENDERSI BENEFICO AL GENERE UMANO”
Vari indizi confermano che l'invenzione degli occhiali non è da attribuire a Salvino. Il fiorentino nasce a fine del XIII, ma già a metà del secolo gli occhiali erano uno strumento molto usato presso la corte bizantina. Venezia, principale città europea che commerciava con l'oriente e sede tutt'oggi rinomata nel mondo per la produzione del vetro, già il 2 aprile 1300 approvava un'ordinanza diretta ai lavoratori del vetro e del cristallo, che proibiva loro una frode che era da tempo invalsa:
“acquistare o far comprare, vendere o far vendere comuni lenti di vetro non colorato, facendo credere che siano di cristallo, come ad esempio bottoni, manici dischi per bariletti e per occhi tavole per pitture di altari o per croci e lenti d'ingrandimento”
L'oggetto sarebbe stato sequestrato e distrutto, mentre al reo era commisurata un'ammenda.
Proviamo a fare un po' di luce sul perché viene attribuita a Salvino l'invenzione degli occhiali.
Nel 1305 Giordano da Pisa durante una predica in Santa Maria Novella avrebbe annunciato, pieno di entusiasmo, la recente invenzione. La gioia del domenicano era condivisa da tutte quelle persone che “dipendevano dai libri”: con questo ritrovato non dovevano più interrompere ogni attività con l'avanzare degli anni.
Le prediche di Giordano sono state scritte così come sentite, ma il copista quando riportò la frase: “E disse il lettore” (da lector: insegnante, teologo), intese aggiungere una precisazione, indicando come testimone dell'inventore Giordano, lector a Firenze, o un suo compagno, presente alla predica? Questa domanda sorge perché la frase incriminata sarà utilizzata nella disputa relativa all'identità e alla patria dell'inventore.
Pare che un altro domenicano, contemporaneo di Giordano, che viveva nel convento di Santa Caterina a Pisa, tale Alessandro Della Spina, morto nel 1313, fu il primo a imparare a fabbricare gli occhiali. Il suo necrologio presente nella Chronica Antiqua del convento recita:
Frate Alessandro Della Spina, uomo buono e modesto, era in grado di rifare tutto quello che vedeva. Egli stesso fabbricò gli occhiali, che un altro aveva ideato per primo, non volendo però comunicare il segreto.
Arco di via dei Bardi, Torre dei Mannelli e Gruppo del Centauro.
Nel mezzo della piccola piazza, formata dall'incontro di via dei Bardi, di via Guicciardini e di Borgo S. Iacopo, si vede il famoso gruppo di Gian Bologna rappresentante Ercole che uccide il Centauro. Scultore fiammingo fosse stato collocato all'angolo de'Camesecchi e come nello scorcio del sec. XVIII passasse nella predetta piazza, al posto del gruppo di Menelao e Patroclo. Qui rimase sino al 20 dicembre 1838. in cui fu, a sua volta, raccolto sotto la Loggia dei Lanzi. La fontana che zampillava dal piedistallo fu messa in una nicchia del Palazzo Cerchi, dove tuttora si trova.​
Arco di via dei Bardi, Torre dei Mannelli e Gruppo del Centauro.
Nel mezzo della piccola piazza, formata dall'incontro di via dei Bardi, di via Guicciardini e di Borgo S. Iacopo, si vede il famoso gruppo di Gian Bologna rappresentante Ercole che uccide il Centauro. Scultore fiammingo fosse stato collocato all'angolo de'Camesecchi e come nello scorcio del sec. XVIII passasse nella predetta piazza, al posto del gruppo di Menelao e Patroclo. Qui rimase sino al 20 dicembre 1838. in cui fu, a sua volta, raccolto sotto la Loggia dei Lanzi. La fontana che zampillava dal piedistallo fu messa in una nicchia del Palazzo Cerchi, dove tuttora si trova.
Dalle parole di Giordano e della Chronica nascerà nel corso del XVII secolo una diatriba tra eruditi, che nei secoli successivi porterà a considerare certe le affermazioni fatte nelle due fonti.
Il primo studioso a ricordare Alessandro Della Spina fu Carlo Roberto Dati, allievo di Galileo. Lo studioso non confrontò personalmente l'opera, ma si affidò a quanto gli aveva trascritto Francesco Redi, il quale spesso si divertiva a modificare deliberatamente i testi per ingannare il circolo dei dotti. Il Dati riporta che il frate era in grado di produrre il nuovo strumento solo attraverso il sentito dire; attribuendo così al dominicano la paternità dell'invenzione e facendo di Pisa la patria, dato che il Della Spina era di famiglia pisana.
Nonostante lo scherzo dello scienziato aretino, anche il Dati ha delle colpe, perché lo stesso Redi lo avvisò in una lettera precedente il Dati, che il frate aveva ricostruito gli occhiali semplicemente vedendo un esemplare e vincendo la resistenza del primo anonimo inventore. La conoscenza e l'ammirazione del Dati verso Galileo Galilei, portano lo studioso a omettere questo particolare, perché vuole creare un'affinità per elogiare convenientemente la scoperta del telescopio da parte di Galilei, pisano come il Della Spina e anche lui capace di ricreare l'oggetto solo guardandolo, senza altro aiuto.
Se errare è umano, il Redi è diabolico. Persevera nella mancanza e pubblica una lettera nella quale si ripete il paragone Spina-Galileo. Redi era arrivato alla conclusione che proprio Alessandro Della Spina fosse l'inventore degli occhiali; in questo caso, il lector Giordano, o un suo amico frate, non avrebbe mancato di ricordarlo; quindi meglio sopprimere lo scomodo commento.
La tentazione di dare un volto all'inventore provoca il fiorentino Ferdinando Leopoldo Del Migliore a dare natali fiorentini ad Alessandro della Spina e successivamente un volto a quella persona che tiene per sé il segreto della fabbricazione degli occhiali. Lo studioso individua il sepolcro dell'inventore in Santa Maria Maggiore: si trattava del detto Salvino degli Armati.
Ferdinando deve inventare una storia, di modo che tutto torni. Modifica la data di morte, anticipandola di 23 anni, dal 1340, vera data di morte di Salvino, la sposta al 1317, in modo da tornare con l'ipotesi di Redi, secondo la quale gli occhiali sono apparsi tra il 1280 e il 1311. Le altre caratteristiche, che permettono di non confutare la sua ipotesi e di far ricadere la scelta su un appartenente della famiglia Armati, sono: l'estinzione della famiglia e le numerose ricostruzioni subite dalla chiesa di Santa Maria Maggiore. Nonostante tutte queste accortezze l'ipotesi di Del Migliore è smascherata; a permettere ciò, fu la mediocre conoscenza della filologia dello studioso, che riempie l'epitaffio di Salvino con numerosi errori.
Prima della scoperta di questi errori, si mantiene la convinzione che Salvino degli Armati è l'inventore degli occhiali e se il XVIII secolo accreditò la storia, il XIX diede un volto all'inventore, riconoscendolo in un busto antico. Busto che insieme all'inventato epitaffio è stato in bella mostra all'interno del chiostro di Santa Maria Maggiore fino al 1891, poi spostato all'interno della chiesa, quando il chiostro e i suoi spazi furono usati per farci una scuola chiamata... udite, udite: Salvino degli Armati.
A risistemare le cose nel XX secolo, un articolo di Isidoro del Lungo, il quale smaschera il misfatto creato dagli eruditi passati e, forse per questo, nel 1925 la scuola cambia nome. Tolto Salvino nessun altro lo ha sostituito, quindi oggi noi non possiamo che rendere omaggio all'ignoto inventore.
©Riccardo Mugellini.
In passato, questa zona ospitava il Ghetto ebraico e resti storici di Firenze, incluso il Mercato Vecchio, sorto sul Foro romano.
Oggi, pur mantenendo il prestigio, ha subito una forte trasformazione, privilegiando il turismo di lusso a scapito della varietà e della tradizione.
Vicolo degli Armati da via del Giglio a via de' Cerretani, legato a famiglia omonima e antiche chiese.
La strada è caratterizzata da edifici storici, chiese e tabernacoli, tra cui opere d'arte di artisti come Domenico Puligo e Baccio Maria Bacci.