Firenze fiorentine
Vita quotidiana scomparsa
Le Porte della città si chiudevano tanto d'estate che d'inverno all'un'ora di notte; e la chiusura veniva annunziata da un cosiddetto fa-servizi, un ragazzo, figlio di qualche impiegato delle porte, che cominciava a far la sua carriera da quell'umile grado.
Il fa-servizi annunziava dunque allo scocco dell' un'ora, la chiusura della porta dando tre colpi col martello che v'era infisso. A quel segnale, coloro che erano fuor della città e volevano tornarvi, facevano delle corse incredibili, e ne uscivano con la lingua fuori per essere in tempo a passare, non essendovi che cinque minuti di comporto, decorsi i quali la porta si chiudeva e veniva calato il rastrello. Dopo l' un'ora, chi voleva entrare in città bisognava che bussasse all'usciolino basso, praticato nella porta, e pagasse una crazia - sette centesimi - a titolo di pedaggio. Quest' usanza, che era biasimata da tutti i cittadini poiché si trovavano considerati come altrettante bestie da gabella, fu la prima ad essere abolita dal Governo provvisorio del 1848, che ne ebbe il plauso universale.
Le Porte che si chiudevano assolutamente senza poter passare nemmeno dall'usciolino, eran quelle di Pinti, San Giorgio, San Miniato, la porticciòla del Prato - detta anche porta a Sardigna (1) - e la porticciòla di Piazza delle Travi (2), allo scalo in Arno. Ma qui coloro che avevan fatto tardi non si sgomentavano, perché scavalcavano dalle sponde e chi s'è visto s'è visto !
Le chiavi di queste porte ogni sera alle ventiquattro, ossia all'Ave Maria, eran ritirate da uno dei quattro soldati, chiamati volanti che montavano alla Gran Guardia con questo solo incarico. Ogni soldato era accompagnato dal veterano, che, come abbiamo rilevato in uno dei precedenti capitoli, con marziale serietà metteva da sé le chiavi nella bolgetta di cuoio che il soldato teneva a tracolla insieme con la giberna; e quando tornava al Comando di Piazza le consegnava al Comandante.
Le quattro bolgette eran custodite nel corpo di guardia sotto la responsabilità dell'ufficiale, e la mattina dopo, appena giorno, gli stessi soldati, accompagnati dal veterano, tornavano ad aprire le porte e così avevan guadagnato la giornata.
Ad eccezione però delle quattro citate, dalle altre si poteva passare mediante il pagamento del pedaggio d'una crazia; e potevano anche passare le carrozze ed altre vetture, pagando una crazia per ruota.
La mattina a giorno s'alzava il rastrello, e si cominciava a fare entrare per ordine i barrocci, che in una fila interminabile si erano messi in riga lungo la strada di fuori, ad aspettare che aprissero per poter gabellare.
I primi, per il solito, eran sempre i lattai e gli ortolani che erano costretti ad essere i più solleciti. Pareva come dar la stura a un fiume. Ma c'erano i soldati ad ogni porta per il buon ordine: un caporale e tre uomini di quelli che il popolo chiamava fior di zucca.
Se nasceva qualche litigio fra coloro che volevan passare innanzi, oppure se taluno levava di rispetto un impiegato o anche lo stesso cassiere, questi non faceva altro che dire al capoposto, che era agli ordini immediati di lui: - Caporale, faccia il suo dovere. -
Ed il caporale metteva nel corpo di guardia il riottoso, mandando subito un volante al comando di Piazza col rapporto steso dal cassiere, in attesa di ordini. Quando per la città si vedeva in certe ore insolite un soldato col rapporto piegato a triangolo e infilato tra la bacchetta e la cassa del fucile, tutti s'immaginavano che c'era qualche arrestato a una porta.
Non era raro il caso che dal rapporto del cassiere, resultando trattarsi d'un prepotente, andassero i birri (3) a prenderlo e portarlo dinanzi al Commissario del quartiere, per render conto del suo operato, conducendolo poi alle Stinche senza neanche avvisare a casa, per quel tempo che il Commissario medesimo ordinava.
E così le cose si sbrigavano parecchio alla svelta, per citazione direttissima, come si direbbe oggi, ed uno sapeva subito di che morte doveva morire in meno d' un'ora, non spendendo né in carta bollata né in avvocati.
Una delle curiosità delle porte, erano i contrabbandi che si tentavano. Frodar l'erario è un guaio antico; ma a que' tempi il passar la roba senza pagare, era una soddisfazione ed un'industria insieme. Vi erano delle famiglie che, su questa ci campavano comodamente.
Alcune donnicciuole si guadagnavano una discreta giornata, passando i prosciutti, che Dio ci liberi nascondevano sotto le sottane, e ricevevano mezzo paolo per ciascuno da coloro per conto dei quali li passavano. Oltre ai prosciutti, non c'era giorno che non passassero carne, salsiccie e tutto quanto con quel prosaico mezzo della sottana si poteva nascondere. Ma i gabellini, che le conoscevano, spesso ne coglievano qualcuna in fallo, e allora quelle donne perdevano ogni cosa.
Le più accorte però, quando vedevan la marina torba, si gingillavano di fuori presso la porta, figurando dì chiacchierare svagolate, con questo e con quello, aspettando il momento buono di potere sgusciare inosservate tra barroccio e barroccio e il tiro era fatto.
Certe altre poi, si lasciavan frugare tranquillamente perché sapevano di non aver nulla addosso; e lo stradiere non
si accorgeva, ed era quasi impossibile, che quello che cercava era nel veggio o scaldino ch'esse figuravan di portare per scaldarsi, e dentro era pieno di spirito chiuso in una piccola bombola, fatta a modello, coperta da un po' di brace e della cenere, che nascondeva perfettamente il frodo.
Erano infiniti i mezzi e le astuzie usate per passar la roba alle porte in barba al cassiere e agli stradieri. Ci sarebbe da scrivere un libro curiosissimo!
Nei carichi della fastella nascondevan mezzi bovi, addirittura: pialle da legnaioli piene di spirito, e perfino tamburi della Guardia Urbana a' suoi tempi, celavano o mascheravano l'inganno!
Non c'era poi diligenza che arrivasse di campagna, nella quale non ci fosse qualcuno che tentasse il suo bravo frodo. Per lo più costoro, mentre gli stradieri, certi ferri di bottega più fini della seta di Napoli, facevano la visita e domandavano se c'era nulla da gabella, essi si mostravan distratti guardando in qua e là; ma più specialmente, e ciò era caratteristico, soffiandosi il naso, per nascondere l'imbarazzo e la bramosia di uscir presto da quella pena d'essere scoperti. Ma però c'erano talora degli stradieri che figurando di non accorgersi di nulla, tutt'a un tratto dicevano a quei tali: - Ora che la s'è soffiato il naso, la s'alzi! - E trovavan pari pari i generi nascosti: e se quello se li voleva tenere, bisognava che pagasse dieci volte la gabella: diversamente, come accadeva quasi sempre, diventavan proprietà dello stradiere che aveva fatto la scoperta, e ne faceva parte ai compagni di servizio. Né finiva qui l'incerto - come si diceva - dell'impiegato; poiché quando questi faceva delle scoperte importanti, riceveva anche un premio di dieci lire dalla Ispezione delle Gabelle! E questo per incoraggiarli sempre più e non giustificare quello che dicevano certe linguacce, che qualcuno pigliava il cosiddetto boccone e lasciava correre!...
Il terrore di quei contrabbandieri spiccioli era uno stradiere soprannominato Bighezze, il quale pareva nato apposta per fiutare, indovinare da lontano e conoscere a colpo sicuro gli individui che tentavano la frode. E a vederlo pareva tutt'altro: allegro, buffone, piacevole, scherzava con tutti, con aria bonacciona, che invitava alla confidenza. Ed era lui che spesso scopriva perfino certi tavoloni da ponti per i muratori, pieni d'alcool chiuso ermeticamente in cassette di latta, lunghe quanto le tavole, e commesse nello spessore di esse con arte mirabile.
Più volte si scoprivano delle signore, che in carrozza, con grave posa e altezzosa, tentavano di passare ogni sorta di salumi, e facevano le sdegnose e si offendevano se venivano invitate a scendere, per farsi visitare dalla donna che appositamente faceva servizio ad ogni porta.
Famosi per le frodi in grande, erano i mortuari delle parrocchie, che quando portavano un cadavere ad un cimitero suburbano, tornavano in giù con la bara, che nessuno pensava a visitare, con entro un quarto di manzo o con due o tre agnelli, o anche - con rispetto - con un maiale intero. Ed il prete era di balla!....
Fra le frodi celebri vi fu quella di un tale che a mezzanotte giunto in carrozza alla Porta alla Croce bussò perché fosse aperto per passare in città. Lo stradiere vedendo le tendine calate ammiccò il vetturino strizzando l'occhio con malizia, mentre spinto dalla curiosità e anche per fare un po' di dispetto, aprì lo sportello. Vedendo che il signore imbarazzato figurava di ricomporsi, lo straniere sbirciando la signora con la cuffia fitta fitta tirata giù per non essere vista, richiudendo lo sportello rumorosamente diceva al cocchiere, dopo che aveva pagato il pedaggio di una crazia per ruota: - Lei vada! può andare. -
La signora velata non era altro che un maiale vestito da donna! Ma quando un'altra volta quel tale, che l'aveva presa a veglia, tentò il colpo nientemeno che con tre di quelle signore, fu scoperto. Venuto in sospetto lo stradiere dopo che aveva fatto passar la carrozza, la rincorse fino a Sant'Ambrogio; e fattala tornare indietro si trovò che le tre dame erano.... quello che erano.
L'affare dei frodi era per taluni anche un divertimento, e talvolta diede luogo anche a delle scommesse.
Un giorno, ed anche questa è storica, un prete venendo di fuori d'una porta, con una valigia in mano, si soffermò misteriosamente dallo stradiere; e tiratolo in disparte gli confidò come se fosse stato un fratello, che alcuni amici, presso i quali andava a passar qualche giorno in campagna, gli avevano promesso nella settimana un prosciutto.
Ma egli, povero prete, non potendo spendere nella gabella, lo pregava quando l'avesse avuto, a lasciarlo passare senza guardarlo, promettendogli di raccomandarlo a Gesù.
Lo straniere pensò subito alla burletta da fare al prete, e gli promise quanto desiderava.
Frattanto, appena fu andato via, avvisò il cassiere ed i compagni del caffetto; e tutti d'accordo pensarono di prendere il prosciutto al prete quando fosse passato, col dargli la multa di dieci volte la gabella che egli non avrebbe pagato di certo.
Dopo alcuni giorni, ecco il bravo prete con la valigia. Lo stradiere dà d'occhio al cassiere, e quando il degno sacerdote è sotto la porta, figurando di non riconoscerlo, gli domanda:
- Che cos'ha reverendo nella valigia?
- Nulla! - risponde franco l'altro.
- L'apra che si veda! - Il prete apre la valigia, e la valigia era vuota.
- O il prosciutto? - domanda lo straniere che era rimasto male.
Eh! il prosciutto c'era l'altra volta!...
[1] Sardigna (sinonimo di "aria malsana"), era la zona tra la Torre alla Serpe e l'Arno. Porta a Prato, qui proseguendo per il Pignone si scendeva sul greto d'Arno alla Sardigna, ove si uccidevano i cavalli e i somari vecchi non più servibili e anche gli animali morti trovati per le strade, e vi si sotterravano facendo delle buche nel greto stesso. Quel luogo era una vera discarica.
[2] Piazza Mentana. Si accede alla piazza dal Lungarno generale Armando Diaz, via dei Saponai, via della Mosca, via dei Vagellai, via Vincenzo Malenchini. La denominazione tradizionale è stata nel tempo quella di piazza d'Arno , ugualmente detta delle Travi (o dei Foderi) per la presenza di un accesso a uno scalo sul fiume e di un deposito di travi ad esso collegato.
[3] Birro s. m. [forse latino tardo birrus "rosso" (dal greco pyrrós), per il colore della casacca]. - 1. (Storico) [in età medievale e rinascimentale, guardia in servizio di polizia] ≈ guardia, (antico) sbricco, sgherro. 2. (spregiativo, non comune) [esponente del corpo di polizia] ≈ agente (di polizia), (disuso) gendarme, poliziotto, (spregiativo) questurino. Fonte Treccani.
Tratto da Giuseppe Conti, Firenze Vecchia Storia – Cronaca Aneddotica – Costumi.
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